Inaugurazione Anno Giudiziario - intervento del Presidente Avv. Stefano SAVI
Testo intervento del Presidente
Porgo il saluto a nome dell’avvocatura del distretto al signor Presidente della Corte di Appello, al signor Procuratore Generale, al signor Avvocato Generale, a Sua Eminenza il Cardinale.
Esprimo deferente omaggio al Presidente della Repubblica, supremo garante della Costituzione la cui opera autorevole e lungimirante è quanto mai determinante, ai rappresentanti della Magistratura, del Ministro alle Autorità convenute, a tutti i presenti.
Siamo certamente tutti consapevoli di vivere da protagonisti un periodo di gravissima crisi della giustizia italiana consci delle gravissime conseguenze che a causa di questa il nostro Paese sopporta.
Essere protagonisti significa anche condividere per il passato e per il futuro responsabilità, ognuno per la sua parte di competenza.
L’avvocatura che non sfugge alle sue, presenti e passate, impegnata in modo particolare per la riforma del proprio ordinamento ha maturato una nuova consapevolezza del ruolo sociale che è chiamata a sostenere e ciò ha generato una larghissima convergenza di tutte le sue componenti verso un impegno comune per contribuire al superamento di una crisi dai caratteri ormai endemici.
Questa consapevolezza e questo sforzo sono un valore che deve essere messo al servizio della collettività nel momento in cui necessita da parte di tutti il massimo impegno e la più convinta mobilitazione delle competenze.
In questo senso il contributo al costruttivo ed auspicato confronto progettuale che l’avvocatura può fornire prende le mosse dalla maturata certezza che per affrontare la crisi occorra superare prospettive emergenziali e contingenti a favore della elaborazione di un disegno organico e di elevato respiro, capace di affrontare la molteplicità dei problemi che affliggono gli ordinamenti, le procedure, le dotazioni e le strutture e di fornire innovative risposte a problematiche non più sottovalutabili, risposte che non potranno che essere la sintesi condivisa di un leale confronto.
Occorre, ad esempio, riflettere sullo strumento processuale stesso per essere ormai evidente che devono trovarsi strumenti deflattivi capaci di coniugare garanzia ed efficienza, sulla utilizzazione della sanzione penale spesso, per i fatti minori, comprovatamente meno efficace di quella amministrativa.
Occorre riflettere sul diritto alla difesa, diritto inviolabile, perché pare che da più parti se ne sia dimenticato o se ne sia voluto dimenticare il fondamentale ruolo.
Occorre riflettere sul concetto stesso di pena, sulla effettività ma anche sulle forme della risposta che lo Stato deve dare a che delinque.
Occorre acquisire piena consapevolezza della natura del tempo come elemento essenziale della giustizia sia in relazione alle esigenze pubbliche che a quelle private.
Occorre rivalutare nel processo il rispetto della dignità dell’individuo, di tutti indistintamente gli individui.
Per affrontare argomenti di questo spessore, il cui elenco potrebbe continuare a lungo, occorre che la tecnica giuridica sia impiantata su un saldo sistema di principi e di diritti che soli possono garantirne la qualità e il successo.
Sono i diritti fondamentali riconosciuti universalmente.
Sono quella parte della nostra Costituzione che disegna le basi della nostra Repubblica.
Nulla della sostanza, a prescindere dalla forma che è sempre perfettibile, di quanto contiene nella sua parte iniziale il documento costituente deve essere dimenticato.
Ci sono però, all’interno di questo, alcune specifiche indicazioni che possono oggi fornire a tutti, dal più modesto degli operatori al legislatore, sicura guida rispetto alla scelte future.
Nel discutere di rinnovamento della Giustizia, nella più ampia e nobile accezione che si possa conferire al concetto, inizierei con il meditare profondamente sul secondo comma dell’articolo 1: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Forte richiamo all’unica fonte della sovranità, esclusione di qualsiasi possibilità di sostituire al principio cardine della democrazia diverse legittimazioni, alla fedeltà alla Costituzione ed al sistema che ponendo in equilibrio i poteri, garantendone l’indipendenza e l’autonomia, impedisce prevaricazioni che ne snaturerebbero l’essenza.
Altro pilastro l’articolo 2: “ La repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”
Non può, per definizione, esistere una democrazia che sacrifichi i diritti dell’individuo, che cancelli il sistema delle garanzie emerso con fatica e gloria dalla storia della nostra cultura.
In tanti paiono aver smarrito il rispetto dei diritti inviolabili, rappresentandoli, in spregio alla realtà, come intralci rispetto a fini, a volte anche personali, indebitamente perseguiti.
I mezzi non sono mai giustificati dai fini quando gli uni o gli altri violino la legalità.
E’ l’essenza stessa del sistema costituzionale.
Da queste due riflessioni sarebbe bene prendere le mosse per svilupparne molte altre di altrettanta rilevanza.
Voglio proporne però un’ultima riflessione che trae spunto da una norma costituzionale poco “frequentata” ma che introduce un elemento la cui mancanza mortifica qualsiasi aspettativa positiva.
Leggo il secondo comma dell’articolo 4 della Costituzione: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e per propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società.”
E’ una indicazione che concretizza una altissimo principio etico.
Dobbiamo affermare con chiarezza che nessun sistema normativo può assicurare giustizia sostanziale se coloro che lo creano e coloro che lo applicano non sono guidati da saldi principi etici.
Questa norma costituzionale che riempie di significato l’articolo 1 dove si dice che la Repubblica è fondata sul lavoro assegna allo stesso rilievo e dignità. Per tutti coloro che operano nell’ambito della Giustizia è un imperativo al rispetto del ruolo istituzionale, ad indirizzare le propria attività sempre nel senso dell’interesse della collettività, ad impegnare al massimo le competenze professionali, ad operare quotidianamente consci di svolgere un servizio e non come chi eserciti un potere assoluto o un privilegio.
Il dettato costituzionale ci rafforza nella convinzione che i fini istituzionali che siamo chiamati a perseguire si debbano raggiungere con il dialogo e la collaborazione ignorando spinte corporative o di comodo, consolidando una tradizione che ha sempre caratterizzato il nostro foro ancora da ultimo rinnovata dal Presidente del Tribunale che ha voluto con il suo primo atto portare un saluto alla avvocatura rimanendo, pronti comunque a difendere con ogni mezzo lecito il rispetto della legalità.
L’articolo 4 ci insegna che alla base di ciascun ordinamento giuridico, di ciascun processo ci sono degli individui, delle donne e degli uomini e che qualsivoglia geometria giuridica diventa giustizia solo attraverso la loro umanità ed i loro principi etici.
Avv. Stefano SAVI
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