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12/06/2012 Condividi

Relazione dell'On. Avv. R. Cassinelli alla Camera Deputati sulla Riforma Ordinamento Forense

Disegno di legge

recante

Riforma dell’ordinamento della professione forense" (AC 3900)

Relazione per l’aula

(11 giugno 2012)

Parte prima

Onorevoli Deputati!

  1. Un’occasione storica si presenta dopo oltre ottant’anni per riformare la disciplina della professione di avvocato, risalente all’ormai lontano 1933. Dopo un lungo iter parlamentare, arriva in Aula il disegno di legge AC 3900, frutto di un serrato lavoro parlamentare qui alla Camera dei deputati e prima ancora al Senato della Repubblica. Giova infatti ricordare che confluiscono in questo testo molte iniziative di legge, a testimonianza della assoluta urgenza di dotare la professione forense di un abito normativo più adeguato all’evoluzione del sistema giudiziario ed alle continue trasformazioni del mercato.

È dunque condivisa largamente, in questo Parlamento, l’esigenza di riformare la professione forense, a prescindere dalle appartenenze politiche. Ed i lavori che si stanno concludendo dimostrano un’ampia convergenza anche nel merito: al Senato si è lavorato sulla base di un testo elaborato dal Comitato ristretto, che ha tenuto conto dei disegni di legge nn. 601, 711, 1171 e 1198, ma l’impianto fondamentale è essenzialmente quello dei disegni di legge n. 711, primo firmatario Casson, e n. 1198, primo firmatario Mugnai che, pur nella diversità di alcune formulazioni, appaiono ispirati ad impostazioni nel complesso molto simili. Non è mai mancato inoltre il serrato confronto con le associazioni rappresentative della professione forense e con il Consiglio nazionale forense (CNF). L’idea fondamentale che pervade l’articolato è quella per cui, anziché puntare ad una deregolamentazione selvaggia, risulta più produttivo mirare ad una regolamentazione migliore, che si ponga a garanzia degli interessi del cittadino-cliente e del superiore interesse al funzionamento del “servizio giustizia”.

 

 

  1. Il settore delle professioni è coinvolto da un processo di riforma avviato con la manovra di agosto dell’estate del 2011, e poi accelerato con i decreti legge salva Italia e cresci Italia: quest’ultimo ha in particolare anticipato una parte della riforma riducendo immediatamente il periodo di tirocinio, ed introducendo l’obbligo dell’accordo sul compenso e l’obbligo del preventivo, in funzione di assicurare la trasparenza della relazione cliente-professionista (art. 9, d.l. 1/2012). I lavori della Commissione giustizia qui alla Camera sono dunque consistiti soprattutto nel mettere in linea il testo della riforma forense con i principi generali elaborati dal Governo per tutte le professioni, e possiamo dire senz’altro che l’obiettivo è stato pienamente raggiunto, grazie al contributo di deputati sia del centro destra che del centro sinistra.

Molte delle soluzioni affermate in via generale per la riforma delle professioni erano peraltro già fatte proprie dall’AC 3900: innanzi tutto con riferimento all’opzione di fondo e di sistema, che è quella della distinzione tra impresa e professione: sono ribaditi i principi di autonomia e indipendenza come caratteri distintivi del professionista; è salvaguardato l'esame di Stato per l'accesso e l'eventuale anticipo del tirocinio durante gli studi universitari è connesso a convenzioni con il Consiglio nazionale; è imputato direttamente ai CN il potere regolamentare sulla formazione permanente, quindi la manovra spinge nel senso della devoluzione ai Consigli nazionali del potere regolamentare, perno del ddl AC 3900, pur attenuato nel passaggio parlamentare; è introdotta l'assicurazione obbligatoria; è riaffermata la possibilità di comunicazioni pubblicitarie, pur nei limiti del codice deontologico, che tuttavia devono essere ragionevoli e non arbitrari.

A  proposito delle tariffe, abrogate com’è noto dal decreto legge 1/2012, il testo qui presentato è adeguato – a seguito degli emendamenti all’art. 12 approvati dalla Commissione nella seduta del 6 giugno u.s. - al nuovo concetto di parametri, che debbono restare un riferimento soprattutto per i giudizi, come è stato ampiamente dimostrato dal caos generato dall’abrogazione immediata compiuta pochi mesi or sono, e poi sanata in sede di conversione del menzionato decreto legge.

A proposito del procedimento e della potestà disciplinare, il principio di cui alla manovra è chiaramente nel senso di imporre la distinzione tra funzioni amministrative e funzioni disciplinari, ed anche a livello nazionale, tranne che per i Consigli nazionali costituiti in forma di giudice speciale, come il CNF. Trattandosi di giudici, la materia è soggetta a riserva di legge assoluta, e dunque non può ricadere e non ricade tra quelle delegificate. Ecco perché il nostro testo prevede proprio questa distinzione a livello locale, ma lascia integra la composizione e la funzione disciplinare del CNF per salvaguardarne la natura giuridica di giudice speciale, che consente la sollevazione di questione di legittimità costituzionale. Attualmente ogni distretto di Corte d’appello elegge un rappresentante al CNF, e la composizione dell’organo riflette la geografia giudiziaria italiana, il che è assolutamente indispensabile, avuto riguardo alle attribuzioni del Consiglio stesso in materia di amministrazione della giustizia. La natura di giudice speciale del CNF consente all’organo di adire la Corte costituzionale per far valere la eventuale incostituzionalità di norme applicabili ai procedimenti disciplinari, salvaguardando l’interesse generale alla corretta attuazione dell’ordinamento giuridico, e rappresenta simbolicamente e funzionalmente il legame inscindibile tra avvocatura e giurisdizione.

La riforma del settore in corso non osta dunque ad una regolamentazione specifica dettata con legge della professione forense, unica professione espressamente menzionata in Costituzione, perché volta a garantire alla società in cui opera l’avvocato il rispetto dei diritti fondamentali, lo stato di diritto e la sicurezza nella applicazione della legge (così la Risoluzione del Parlamento europeo P6_TA(2006)0108 del 23 marzo 2006).

 

 

  1. Il testo – come dicevo - è stato oggetto di un ampio dibattito in Commissione, conclusosi con l’approvazione di una serie di proposte emendative, tutte largamente condivise.

Vale sottolineare, in particolare, che la Commissione è stata mossa, tra l’altro, dall’intento di assicurare la piena conformità della nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense ai principi ed alle indicazioni provenienti dal diritto dell’Unione europea, ed in particolare al testo della Dir. 98/5/CE, in materia di libera circolazione degli avvocati e soprattutto della Dir. 2006/123/CE, in materia di libera prestazione dei servizi (cd. Direttiva Bolkenstein), nonché alla giurisprudenza della Corte di Giustizia.

Orbene, va sottolineato a tale proposito che è forte e presente, nel diritto dell’Unione, la coscienza della necessità di operare un continuo e ragionevole bilanciamento tra il principio di libera concorrenza – così come, più in generale, le libertà economiche – e la tutela di interessi altrettanto rilevanti per l’equilibrato sviluppo del processo di integrazione europea, ed in primo luogo la tutela dei diritti fondamentali di cui l’Unione assicura l’osservanza attraverso l’art. 6 del Trattato sull’Unione europea e la Carta dei diritti fondamentali. La disciplina delle professioni regolamentate secondo il modello ordinistico rappresenta in questo senso – come riconosce il diritto dell’Unione e non si mancherà di sottolineare nel corso della relazione – il punto di equilibrio tra istanze solo apparentemente contrapposte. La tutela della concorrenza – principio cardine del diritto dell’Unione – già da tempo è sottoposta, infatti, a ragionevole bilanciamento con la tutela dei diritti fondamentali (cfr. la giurisprudenza della Corte di giustizia UE, ed in particolare la sentenza 19 maggio 2009, nella causa C-531/06); e la specialità della professione forense – che è alla base della specifica regolamentazione di quest’ultima secondo il modello ordinistico – rappresenta un irrinunciabile strumento di garanzia dell’effettività del diritto alla difesa.

L’incipit dell’articolato normativo (art. 1) provvede a collocare la professione forense nell’attuale complesso quadro ordinamentale, ribadendo gli obiettivi di indipendenza e competenza dell’avvocato, funzionali alla realizzazione dei diritti che ai cittadini sono conferiti dalla Costituzione, dal diritto comunitario e dalle leggi.

Diviene così necessario esplicitare, nell’ambito della medesima disposizione, l’obiettivo dell’ordinamento forense: coniugare gli obiettivi di organizzazione dell’attività professionale con gli strumenti di garanzia della collettività circa l’indipendenza e la qualità della prestazione professionale forense.

Si provvede poi alla caratterizzazione dell’attività forense, indicando la rappresentanza dei singoli dinanzi a tutte le giurisdizioni ma anche la fondamentale funzione di informazione giuridica al cittadino (art. 2, comma 5).

All’art. 2, comma 6, si introduce la previsione secondo cui le attività di consulenza legale e di assistenza legale stragiudiziale sono riservate agli avvocati, con l’eccezione delle attività specificamente riservate ad altre professioni (notai, commercialisti…) e facendo salva l’instaurazione di rapporti di lavoro subordinato ovvero la stipulazione di contratti di prestazione di opera continuativa e coordinata nell’interesse esclusivo del datore di lavoro o del destinatario dell’opera. Tale previsione appare pienamente conforme – oltre che alla consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. sentt. 1151/02 e 9237/07) che ha considerato riservata ai legali l’attività di consulenza legale svolta in modo abituale e professionale - alle indicazioni provenienti dal diritto dell’Unione europea: si pensi, in particolare, al cons. n. 88 della Direttiva 2006/23/CE (Cd. Direttiva Bolkenstein) il quale annovera la riserva di consulenza legale agli avvocati iscritti in albi tra le eccezioni consentite al principio di libera prestazione di servizi, [ove questa sia prevista in conformità al diritto comunitario].

All’individuazione di queste alte funzioni corrisponde la conferma ed il rafforzamento dei doveri di moralità e onorabilità che risultano coessenziali al decoro del patrocinatore. In questa sede (art. 3) si da’ finalmente una copertura legislativa alla normazione deontologica forense e alla necessità di un codice deontologico, pilastri fondamentali dell’etica professionale, riconosciuti da decenni dalla giurisprudenza ma mai fissati in modo chiaro in un contesto normativo primario. Con tale innovazione, peraltro, la legge professionale forense si pone in linea con le indicazioni provenienti dal diritto dell’Unione europea, ed in particolare con il considerando n. 114 della Dir. 2006/123/CE (cd. Direttiva servizi) il quale espressamente prevede che “Gli Stati membri dovrebbero incoraggiare l’elaborazione di codici di condotta a livello comunitario, specialmente da parte di ordini, organismi o associazioni professionali”.

Tra l’altro va sottolineato che la normativa deontologica è esplicitamente collegata all’obiettivo di garantire anche una corretta e leale concorrenza, valore ormai acquisito anche alle comunità professionali. Il pieno ed effettivo controllo sull’esercizio della professione – attraverso la fissazione di regole deontologiche e la sanzione disciplinare delle violazioni di esse – rappresenta infatti uno strumento volto a garantire il miglioramento della qualità della prestazione e dunque la miglior tutela del consumatore, nell’ottica di una competitività sana e pienamente attenta alla tutela dei fondamentali interessi e diritti coinvolti.

Il testo di tale articolo, peraltro, deve essere corretto per evitare che il richiamo al principio di tassatività dell’illecito disciplinare possa ingessare eccessivamente l’autonomia deontologica, che proprio per sua natura deve poter accompagnare l’evoluzione della professione in modo dinamico. Irrigidire le previsioni secondo un principio di stretta tipicità – eliminando il necessario carattere elastico delle previsioni del codice deontologico – mette infatti a repentaglio la fondamentale apertura delle regole deontologiche all’esperienza di settore, e la stessa possibilità di un loro continuo ed efficace adeguamento alle diverse declinazioni del corretto esercizio della professione che emergano dall’esperienza viva del settore e dalle concrete domande di giustizia disciplinare elevate nei confronti dei professionisti.

L’attuazione del provvedimento è demandata a successivi regolamenti del Ministro della giustizia, da adottarsi previo parere del CNF nonché della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense per le sole materie di suo interesse. È previsto poi che gli schemi di regolamento siano trasmessi alle Camere, al fine di ottenere il parere delle Commissioni parlamentari competenti.

A proposito dell’esercizio in forma societaria della professione, il testo presenta gli opportuni correttivi affinché, pur adeguandosi alle novità introdotte nell’ordinamento, queste non stravolgano i principi di indipendenza ed autonomia dell’avvocato. In considerazione della specialità della professione forense – unica professione espressamente menzionata in Costituzione - la Commissione ha infatti responsabilmente ritenuto di disciplinare il ricorso all’istituto societario per l’esercizio della professione di avvocato attraverso l’approvazione di una delega legislativa al Governo.

Nell’introdotto art. 4 bis, peraltro, si opera un espresso richiamo all’art. 10 l. 183/11: nella posizione dei principi e dei criteri direttivi della delega, di tale norma è stato mantenuto lo spirito, specie sotto il profilo dell’introduzione della società di capitali per l’esercizio della professione forense. Sempre in considerazione della specialità della professione forense e della necessaria piena garanzia dell’indipendenza dell’avvocato – ed anche tenuto conto delle rassicurazioni fornite dallo stesso Ministro della Giustizia con riferimento ai preoccupati rilievi del CCBE (organo europeo di rappresentanza dell’Avvocatura) – si è ritenuto di escludere la presenza del socio di capitale non professionista.

Tali disposizioni appaiono necessarie al fine di garantire il diritto di difesa dell’individuo nonché l’indipendenza dell’avvocato, in modo che l’esercizio in forma societaria della professione forense non vanifichi il principio di personalità della prestazione, il diritto del cliente di scegliere il proprio difensore e, allo stesso tempo, in modo da mantenere ferma la responsabilità personale dell’avvocato, da consentire la soggezione della società professionale ad un concorrente regime di responsabilità ed al regime di deontologia specifico della professione forense. Anche il particolare rilievo del segreto professionale dell’avvocato – valore riconosciuto a più riprese anche dal diritto dell’Unione europea (dir. 2006/123/CE, cons. 114, nonché artt. 24 e 25) depone nel senso dell’opportunità di escludere soci non avvocati: il socio di investimento, infatti, non sarebbe soggetto al dovere di mantenere il segreto, né appare sufficiente, al riguardo, la formale opponibilità del segreto nei suoi confronti da parte dei soci avvocati.

Per le medesime ragioni si considera adeguata l’esclusione delle società tra avvocati dall’ambito di applicazione della disciplina del fallimento e delle altre procedure concorsuali. Occorre inoltre evitare che l’attività professionale venga diretta da soggetti esterni, interessati solamente alla remunerazione del capitale investito, onde ridurre il rischio di conflitto di interessi con il cliente e di infiltrazioni criminali nella proprietà degli studi legali.

L’avvocato deve essere indipendente come il magistrato: la libertà dell’avvocato è condizione della libera interpretazione del diritto oggettivo, il più prezioso fattore di trasformazione in senso evolutivo delle forme giuridiche di tutela dei diritti e degli interessi degli assistiti.

 

 

Parte seconda

  1. Gli articoli successivi dettano norme rispettivamente sul segreto professionale, sul domicilio e sul giuramento.

Una significativa novità rispetto alla normativa vigente è introdotta dall’articolo 8, che disciplina il conseguimento e il riconoscimento del titolo di specialista. Il compito di stabilire le modalità per l’ottenimento del titolo di specializzazione viene attribuito al CNF. Il relativo regolamento del CNF dovrà prevedere, tra l’altro, che i percorsi formativi e professionali necessari per il conseguimento dei titoli di specializzazione abbiano durata almeno biennale e che ad essi possano accedere soltanto gli avvocati che alla data della presentazione della domanda di iscrizione abbiano maturato una anzianità di iscrizione all’albo degli avvocati, ininterrottamente e senza sospensioni, per almeno quattro anni. Le scuole e i corsi di alta formazione per il conseguimento del titolo di specialista non possono avere durata inferiore a due anni per un totale di almeno centocinquanta ore di formazione complessive. All’esito della frequenza l’avvocato sostiene un esame di specializzazione, presso il CNF, il cui esito positivo è condizione necessaria per l’acquisizione del titolo. La commissione d’esame è designata dal CNF e composta da suoi membri, o da avvocati indicati dallo stesso CNF, da docenti universitari, da magistrati a riposo. Il titolo di specialista è attribuito esclusivamente dal CNF. Si prevede, poi, che gli avvocati specialisti siano tenuti, per mantenere tale titolo, a curare il proprio aggiornamento professionale secondo modalità stabilite con regolamento del CNF, pena la revoca dello stesso titolo di specialista. I soggetti che, ai sensi del regolamento, organizzano scuole e corsi di alta formazione per il conseguimento del titolo di specialista devono organizzare altresì corsi di formazione continua con cadenza annuale nelle materie specialistiche. Il conseguimento del titolo di specialista non comporta riserva di attività professionale. È infine fornita una copertura legislativa alle associazioni specialistiche.

 

 

  1. L’articolo 9 disciplina i limiti e le caratteristiche delle informazioni sull’esercizio della professione, da un lato attribuendo al CNF la determinazione dei modi e mezzi dell’informazione e della comunicazione professionale e dall’altro prevedendo che l’inosservanza dei limiti e delle caratteristiche previsti per l’informazione comportino illecito disciplinare. Tale previsione, in linea con l’art. 3, comma 5, della legge n. 138/2011, appare altresì pienamente rispettosa del dettato dell’art. 24, comma 2, della Dir. 2006/123/CE (cd. Direttiva servizi), il quale testualmente subordina le comunicazioni commerciali relative alle attività professionali alla salvaguardia dell’indipendenza, della dignità e dell’integrità della professione nonché del segreto professionale, nel rispetto della specificità di ciascuna professione.

 

 

  1. L’articolo 10 introduce l’obbligo per ogni avvocato di curare il continuo e costante aggiornamento della propria competenza professionale, in conformità ad un regolamento approvato dal CNF. La norma contiene l’elencazione degli avvocati che sono esentati dall’obbligo di formazione continua. Le regioni, nell’ambito delle potestà ad esse attribuite dall’articolo 117 della Costituzione, disciplinano l’attribuzione di fondi per l’organizzazione di scuole, corsi ed eventi di formazione professionale per avvocati.

 

 

  1. Di particolare rilievo è poi l’articolo 11, concernente l’assicurazione per la responsabilità civile. Tale disposizione prevede l’obbligo per ogni avvocato di stipulare una polizza assicurativa a copertura della responsabilità civile derivante dall’esercizio della professione, obbligo la cui violazione configura illecito disciplinare. Tali polizze assicurative possono essere stipulate anche attraverso convenzioni sottoscritte dal CNF, da ordini territoriali, da associazioni ed enti previdenziali forensi. La norma prevede poi che le condizioni di polizza siano stabilite dal Ministro della giustizia sentito il CNF.

 

 

  1. L’articolo 13 reca, secondo la rubrica, la disciplina delle sostituzioni e delle collaborazioni. In realtà, il comma 1 ha piuttosto ad oggetto le modalità di perfezionamento del mandato professionale, mentre i commi successivi disciplinano in maniera più compiuta la disciplina delle sostituzioni e delle collaborazioni, fondata in particolare sui prìncipi della natura personale dello svolgimento dell’attività professionale, anche da parte del componente di un’associazione o società, responsabilità che non viene meno neanche in caso l’avvocato si faccia sostituire o coadiuvare, e della collaborazione tra avvocati che, anche se continuativa, non dà luogo a rapporto di lavoro subordinato: a tale proposito, peraltro, la Commissione ha introdotto l’obbligo per l’avvocato che si avvalga di tale collaborazione di corrispondere al collega o ai colleghi un compenso adeguato all’opera svolta.  Mentre la sostituzione processuale fra avvocati può essere conferita anche verbalmente, nel caso di praticante abilitato è necessaria la delega scritta. L’articolo 14 elenca gli albi, gli elenchi e i registri che devono essere istituiti presso ciascun consiglio dell’ordine. La tenuta e l’aggiornamento dell’albo, degli elenchi e dei registri, le modalità di iscrizione e di trasferimento, i casi di cancellazione e le relative impugnazioni dei provvedimenti dei consigli dell’ordine in materia sono disciplinati con un regolamento emanato dal CNF. L’albo, gli elenchi e i registri sono a disposizione del pubblico e sono pubblicati nel sito internet dell’ordine. La norma prevede la trasmissione annuale al CNF, ai fini della redazione del nuovo «elenco nazionale degli avvocati». Con l’articolo 15 è introdotto tra i requisiti per l’iscrizione nell’elenco dei difensori d’ufficio quello di far parte dell’elenco degli avvocati specialisti in diritto penale.

 

 

  1. L’articolo 16 reca la disciplina delle iscrizioni e cancellazioni. La disposizione in questione, oltre ad elencare i requisiti necessari per l’iscrizione all’albo degli avvocati e al registro dei praticanti, disciplina il procedimento di iscrizione ed elenca le cause e gli effetti della cancellazione dagli albi, dagli elenchi e dai registri. Rispetto a quanto previsto attualmente dall’articolo 37 del regio decreto-legge n. 1578 del 1933, la cancellazione avviene anche quando viene accertata la mancanza del requisito dell’esercizio continuativo della professione, nonché, per gli avvocati dipendenti di enti pubblici, quando sia cessata l’appartenenza all’ufficio legale dell’ente. L’iscrizione all’albo forense è condizionata sempre al superamento dell’esame di Stato.

 

 

 

  1. L’articolo 17 disciplina le incompatibilità. Si tratta di una norma che si è rivelata sicuramente di difficile definizione, in particolare per quanto riguarda le incompatibilità con attività di impresa, in quanto nella complessa realtà delle imprese gestite in forma societaria non appare sempre univoca l’individuazione delle figure che rivestono effettive funzioni imprenditoriali e gestionali. È stata adottata una formulazione, in cui risulta incompatibile, oltre al socio illimitatamente responsabile, all’amministratore di società di persone aventi quali finalità l’esercizio di attività di impresa commerciale e all’amministratore o consigliere delegato di società di capitali, anche il presidente di consiglio di amministrazione con effettivi poteri individuali di gestione. L’incompatibilità per l’esercizio di attività di impresa, o per funzioni relative a società che svolgono attività di impresa, è comunque stata limitata all’attività di impresa commerciale, con esclusione quindi di quella agricola.

In deroga poi all’incompatibilità con qualsiasi attività di lavoro subordinato pubblico o privato, l’articolo 18 ha stabilito eccezioni in favore degli insegnanti universitari o medi in materie giuridiche e, con le limitazioni di cui all’articolo 22, per gli avvocati che esercitano attività legale per conto degli enti pubblici.

 

 

  1. Una significativa novità è stata poi introdotta dall’articolo 20, il quale prevede che la permanenza dell’iscrizione all’albo sia subordinata all’esercizio della professione. Le modalità di accertamento sono state rimesse ad un successivo regolamento emanato dal Ministro della giustizia, su proposta del CNF. La norma prevede come meramente facoltativa la cancellazione dall’albo nel caso di mancato continuativo ed effettivo esercizio della professione.

L’articolo 21 disciplina l’albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori, introducendo criteri più rigorosi per l’accesso all’albo dei patrocinanti in Cassazione. Esso riduce da dodici a otto il numero di anni di esercizio dell’attività professionale necessari per iscriversi all’albo speciale senza avere superato l’apposito esame, ma elimina l’automatismo dell’iscrizione. In questo caso, infatti, sarà necessario avere frequentato lodevolmente e proficuamente la Scuola superiore dell’avvocatura del CNF, che dovrà essere istituita e disciplinata con regolamento dello stesso CNF. Tale regolamento potrà prevedere specifici criteri e modalità di selezione per l’accesso e per la verifica finale di idoneità. La verifica finale di idoneità sarà eseguita da una commissione d’esame designata dal CNF e composta da suoi membri, avvocati, professori universitari e magistrati, con un esame incentrato prevalentemente sui settori professionali esercitati dal candidato. Coloro che alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame sono iscritti nell’albo dei patrocinanti dinanzi alle giurisdizioni superiori conservano l’iscrizione. Allo stesso modo possono chiedere l’iscrizione coloro che alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame abbiano maturato i requisiti per detta iscrizione secondo la normativa attualmente vigente.

Di particolare rilievo sono le disposizioni relative agli avvocati degli enti pubblici, di cui all’articolo 22. Analogamente a quanto attualmente previsto, la disposizione suddetta prevede l’iscrizione obbligatoria ad un elenco speciale degli avvocati degli uffici legali specificatamente istituiti presso gli enti pubblici, anche se trasformati in società per azioni, sino a quando siano partecipati esclusivamente da enti pubblici, che si occupano, con autonomia e indipendenza da ogni altro ufficio, esclusivamente della trattazione degli affari legali dell’ente. La norma prevede poi che la responsabilità degli uffici legali degli enti pubblici sia affidata ad un avvocato iscritto nell’elenco speciale. Ai fini dell’iscrizione nell’elenco gli interessati presentano la deliberazione dell’ente dalla quale risulti la stabile costituzione di un ufficio legale con specifica ed esclusiva attribuzione della trattazione e degli affari dell’ente stesso e l’appartenenza a tale ufficio del professionista incaricato in forma esclusiva di tali funzioni. Anche al fine di assicurare un trattamento economico adeguato, la norma introduce per gli avvocati una contrattazione separata del pubblico impiego.

 

 

  1. Il titolo III disciplina gli organi e le funzioni degli organi forensi.

In particolare, gli ordini territoriali sono disciplinati dal capo I (articoli dal 23 al 31), mentre i capi II e III (articoli dal 32 al 37) disciplinano il CNF e il Congresso nazionale forense.

Ai sensi dell’articolo 23 l’ordine forense è costituito dall’insieme degli iscritti negli albi degli avvocati, e le sue articolazioni sono il CNF e gli ordini circondariali. Tali soggetti sono dotati di autonomia patrimoniale e finanziaria, determinano la propria organizzazione con appositi regolamenti, nel rispetto delle disposizioni di legge, e sono sottoposti esclusivamente alla vigilanza del Ministro della giustizia.

L’articolo 24 regolamenta l’ordine circondariale forense, del quale fanno parte gli avvocati aventi il principale domicilio professionale nel circondario. La norma stabilisce inoltre che l’ordine circondariale di Roma, Capitale d’Italia, abbia sede presso la Corte di cassazione. Presso ogni consiglio dell’ordine è costituito il collegio dei revisori dei conti, nominato dal presidente del tribunale.

L’articolo 25 elenca gli organi dell’ordine circondariale e degli ordini distrettuali. In particolare sono indicati quali organi dell’ordine: l’assemblea degli iscritti; il consiglio; il presidente, che rappresenta l’ordine; il segretario; il tesoriere; il collegio dei revisori. L’articolo 26 reca la disciplina relativa all’assemblea degli iscritti, mentre gli articoli 27 e seguenti disciplinano, fra l’altro, la composizione, i compiti e le modalità di scioglimento dei consigli dell’ordine.

La Commissione, con proprio emendamento, ha altresì introdotto l’obbligo per ciascun Ordine forense di istituire uno “Sportello per il cittadino” volto a fornire informazioni e orientamento ai cittadini per la fruizione delle prestazioni professionali degli avvocati e per l’accesso alla giustizia, nell’ottica di favorire la piena effettività del diritto costituzionale di difesa di cui all’art. 24 Cost.

 

 

  1. Gli articoli da 32 a 36 recano la disciplina relativa al CNF. È fissata in quattro anni la durata in carica, con un limite però di due elezioni consecutive. È stata prevista una integrazione rispetto all’attuale composizione dell’organo, volta ad assicurare una maggiore rappresentatività agli Ordini compresi nei distretti di Corte d’Appello più popolosi: per i distretti di Corte d’appello con più di diecimila avvocati si eleggerà infatti un consigliere nazionale in più: due invece che uno solo (art. 32, comma 2). Rimane confermato dunque il principio organizzatore fondamentale, che è quello di dare alla rappresentanza istituzionale dell’avvocatura una conformazione speculare alla geografia giudiziaria italiana, conformata nei 26 distretti di Corte d’appello. La modifica non incide sulla struttura fondamentale dell’organo e sulle sue funzioni, per cui il Consiglio nazionale forense resta un giudice speciale ai sensi e per gli effetti del combinato disposto della VI disp. trans. Cost e dell’art. 102 Cost.

 

 

  1. Il Capo I del Titolo IV (artt. 38 a 43) disciplina il tirocinio per l’accesso alla professione. L’articolo 38 prevede la possibilità di disciplinare convenzioni-quadro di collaborazione tra università e ordini forensi, anche nell’ottica di assicurare piena attuazione all’art. 9, comma 6 del D.L. n. 1/12 che, come noto, ha introdotto la possibilità di svolgere parte del tirocinio durante il corso di laurea. Gli articoli 39 e seguenti disciplinano lo svolgimento del tirocinio professionale, che deve avere durata continuativa di diciotto mesi in conformità a quanto disposto dall’art. 9, comma 6 del D.L. n. 1/12: la riduzione della durata a diciotto mesi, prevista dall’art. 9, comma 6 del D.L. 1/12, è stata recepita in via di principio con emendamento all’art. 47: ad esso debbono essere coordinate le disposizioni del capo in esame. (eventuali interruzioni della continuità non possono superare i sei mesi) e deve essere svolto presso un avvocato con almeno cinque anni di iscrizione all’albo o presso l’Avvocatura dello Stato o un ufficio legale di ente pubblico o anche presso un ufficio giudiziario per non più di dodici mesi. Le modalità di espletamento della pratica presso gli uffici giudiziari sono rimesse, dall’articolo 42, ad un successivo regolamento ministeriale da emanarsi previo parere del CSM e del CNF. Lo svolgimento della pratica forense risulta incompatibile con ogni rapporto di lavoro pubblico. In linea con quanto previsto dall’art. 9, comma 4 del D.L. 1/12, è stato introdotto anche nella legge professionale l’obbligo di corrispondere al tirocinante un adeguato compenso commisurato all’attività svolta, sinora previsto dal Codice Deontologico Forense (art. 26, can. I). Sono introdotte limitazioni dell’ambito di attività professionale proprio del tirocinante abilitato, il quale può esercitare attività professionale soltanto in sostituzione dell’avvocato presso cui svolge la pratica e per i procedimenti civili e penali di minore entità. L’articolo 41 impone poi ai praticanti l’obbligo di frequentare, in contemporanea con il tirocinio, dei corsi di formazione.

 

 

  1. Come è noto, una delle questioni maggiormente dibattute è quella della difficoltà che si è fino ad oggi incontrata nell’elaborazione di un modello di esame di Stato rigoroso e che garantisca criteri omogenei di valutazione su tutto il territorio nazionale. Al fine di far fronte a tali esigenze sono state apportate dagli articoli da 44 a 49 significative modifiche alla disciplina dell’esame di Stato. L’articolo 45 prevede un modello di esame, articolato in tre prove scritte aventi ad oggetto la redazione di due pareri e un atto giudiziario che postuli la conoscenza di diritto sostanziale e processuale in materia civile, penale o amministrativa, e in una prova orale durante la quale il candidato deve illustrare la prova scritta e dimostrare la conoscenza in una serie di materie, in parte obbligatorie, in parte facoltative.

Con un apprezzabile ritorno al passato, si è stabilito che la prova scritta si svolga con il solo ausilio dei testi di legge, senza commenti o citazioni giurisprudenziali.

Allo stesso tempo, si è previsto l’esonero dalle prime due prove scritte per coloro che abbiano frequentato i corsi di formazione di cui all’art. 41.  L’articolo 46 disciplina la composizione delle commissioni esaminatrici. Si prevede in particolare una commissione nazionale unica, composta da cinque membri di cui rispettivamente tre avvocati, un professore universitario o ricercatore confermato in materie giuridiche e un magistrato in pensione, e l’istituzione di sottocommissioni presso le corti d’appello per la correzione delle prove scritte e lo svolgimento della prova orale. Gli articoli 47 e 48 recano disposizioni transitorie rispettivamente sul tirocinio e sugli esami. Come accennato, l’art. 47 recepisce, anche per il periodo transitorio, la riduzione della durata del tirocinio a diciotto mesi.

 

 

  1. Il titolo V (articoli 49-61) regola il procedimento disciplinare. In Commissione sono state apportate modifiche notevoli rispetto all’originario testo del ddl AC 3900, al fine di recepire i principi introdotti dall’art. 3, comma 5, lett. f), in ordine alla separazione tra funzioni amministrative e funzioni giudicanti a livello territoriale. In particolare, i potere disciplinare è ora affidato a Consigli distrettuali di disciplina, eletti dai Consigli degli Ordini circondariali compresi nel distretto, che decidono al termine di apposito procedimento disciplinare disciplinato dalla legge professionale e da apposito regolamento approvato dal Consiglio nazionale forense, sentiti gli Ordini circondariali. Ai sensi degli artt. 57 e seguenti, il procedimento si articola in una fase istruttoria pre-procedimentale, che si conclude con l’archiviazione o con l’approvazione del capo di incolpazione. A seguito di quest’ultima, si apre il procedimento disciplinare a mezzo di citazione a giudizio. Il procedimento si svolge nel pieno rispetto del principio del contraddittorio con l’incolpato, ai sensi dell’art. 58. Nel corso del procedimento può essere pronunciata, ai sensi dell’art. 59, la sospensione cautelare dell’incolpato dall’esercizio della professione.  Viene altresì espressamente previsto che non possa far parte del Consiglio giudicante un membro del Consiglio dell’Ordine di iscrizione dell’incolpato (art. 49). Avverso le decisioni disciplinari adottate dai Consigli distrettuali di disciplina è ammesso ricorso al Consiglio nazionale forense; il ricorso sospende l’esecuzione della decisione. L’art. 62 riconosce al Consiglio nazionale forense poteri ispettivi per il controllo del regolare funzionamento degli organi disciplinari.

Il titolo VI, infine, reca una delega al Governo nonché disposizioni transitorie e finali. L’articolo 63 prevede la delega al Governo per l’adozione di uno o più decreti legislativi contenenti un testo unico di riordino delle disposizioni vigenti in materia, l’articolo 64 reca disposizioni transitorie, mentre l’articolo 65 stabilisce che alle contribuzioni dovute alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense non si applichi la disciplina della prescrizione dei contributi previdenziali di cui all’articolo 3 della legge n. 335 del 1995. L’art. 66 reca la clausola di invarianza finanziaria.

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