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10/11/2011 Condividi

manifesto del C.N.F. IN DIFESA DELLE PROFESSIONI INTELLETTUALI

Ancora una volta, nel giro di pochissimi mesi, un intervento di urgenza sulle professioni, senza che le stesse siano minimamente consultate. Mentre il comparto attende da anni una riforma di sistema, si assiste all’ennesimo assalto alla diligenza delle professioni, sul presupposto – poco importa che sia del tutto indimostrato e che gli economisti seri sorridano al riguardo – che dallo smantellamento delle regole delle professioni l’economia italiana ricaverà immediati benefici. Invece i professionisti italiani sono lavoratori intellettuali che sono lasciati allo sbaraglio di fronte alla grave crisi economica che attraversa l’Italia, e della quale subiscono tutti i danni senza avere mai avuto protezioni di welfare.

Dopo i rischi di cui al Decreto legge 98/2011, e al Decreto legge 138/2011, dove solo per iniziativa di alcuni responsabili parlamentari si sventarono tentativi basati sull’errata riconduzione delle professioni al modello dell’impresa, oggi le professioni sono di nuovo all’attenzione di un legislatore perennemente in emergenza, erratico ed asistematico: nel maxiemendamento di cui tutti parlano ma del quale non esiste ancora un testo ufficiale si avvia una pesante delegificazione degli ordinamenti professionali modificando sensibilmente l’art. 3, comma 5 del D.L. 138/2011.

  1.   I principi generali lì contenuti rimangono testualmente quelli, tranne che per le variazioni in materia tariffaria di cui si dirà a breve, ma ora sono “trasformati” disinvoltamente in norme generali regolatrici della materia, cui conseguono regolamenti autorizzati, nel quadro di un processo di delegificazione. È appena il caso di osservare che le professioni si sono sempre rifiutate di prestare consenso all’ipotesi di una legge delega in materia di riforma degli ordinamenti professionali, per evitare che il Governo avesse le mani troppo libere, e che a maggior ragione diviene enormemente rischioso, sul piano politico, addivenire ad una delegificazione che finirebbe per conferire alle burocrazie ministeriali il potere di disporre delle regole della professione. A ciò si aggiunga che l’operazione sarebbe probabilmente a rischio sotto il profilo della legittimità costituzionale: certe previsioni degli ordinamenti professionali, come quelle sull’accesso agli albi o quelle sulle incompatibilità potrebbero considerarsi soggette a riserva assoluta di legge (e quindi sottratte alla possibilità di delegificazione); inoltre i principi della manovra di agosto coprono solo alcune specifiche materie, e non tutte quelle disciplinate dagli ordinamenti professionali, per cui il comma 5-bis, che sembra alludere ad una abrogazione totale degli attuali ordinamenti, sarebbe probabilmente incostituzionale.
  2.  Oltre alla descritta delegificazione, nel decreto sviluppo si interviene anche sulle tariffe, che non sono più criterio di riferimento per la determinazione dei compensi. La retorica sull’abolizione dei minimi è ormai surreale: tariffe fisse e minimi inderogabili sono già abrogati dal 2006, e non possono essere nuovamente abrogati! Lo fece già il famigerato decreto legge Bersani, di cui si vogliono rinverdire i fasti, senza che alcun risultato economico positivo ne sia venuto per il Paese, mentre banche e assicurazioni impongono convenzioni ai legali ai limiti dello sfruttamento, con pagamenti irrisori.
  3.  Del pari le imprese beneficeranno dell’indebolimento dei collegi sindacali, con la riduzione dei componenti da tre ad uno, e dunque la pratica impossibilità, in molti casi, di controlli meno che superficiali.
  4. O ancora ecco comparire le società di capitali per l’esercizio professionale, con soci non professionisti, bensì “di investimento”. Ecco tutte le condizioni per arrivare allo sfruttamento del lavoro professionale da parte di chi detiene il capitale.
  5. O la possibilità di costituire una Srl con una mera scrittura privata, senza passare per un professionista che attesti la regolarità sotto il profilo del rispetto dei connessi interessi pubblicistici.

Insomma, in conclusione, appare chiaro chi vince e chi perde.

È urgente una forte iniziativa politica dei parlamentari più consapevoli che possano riequilibrare una manovra pesantemente sbilanciata contro i professionisti italiani ed a tutto vantaggio delle imprese. Approvando subito la riforma dell’ordinamento forense, un testo elaborato in anni di consultazioni, che modernizza e rafforza la professione forense, strumento della tutela dei diritti. Eliminando le società di capitali per l’esercizio professionale, ripristinando le tutele della pubblica fede ed i controlli nelle imprese e soprattutto impedendo che le chiavi delle regole professionali siano consegnate ai ministri di turno o, peggio ancora, ai magistrati degli uffici legislativi ed alle burocrazie ministeriali.

 Roma, 4 novembre 2011

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