Corte Costituzionale - minaccia e resistenza nei confronti di ufficiali e agenti di pubblica sicurezza o polizia giudiziaria
PARTICOLARE TENUITÀ DEL FATTO: ILLEGITTIMA L’ESCLUSIONE DELL’ESIMENTE PER I DELITTI DI VIOLENZA, MINACCIA E RESISTENZA NEI CONFRONTI DI UFFICIALI E AGENTI DI PUBBLICA SICUREZZA O POLIZIA GIUDIZIARIA
Con la sentenza numero 172, depositata oggi, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 131-bis, terzo comma, del codice penale, nella parte in cui si riferisce agli articoli 336 e 337 dello stesso codice, disponendo che l’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità quando il fatto è commesso nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell’esercizio delle proprie funzioni.
Nel decidere su una questione sollevata dal Tribunale di Firenze, la Corte ha, dapprima, rilevato che, ai sensi dell’articolo 131-bis del codice penale, come modificato dalla “riforma Cartabia” (d.lgs. n. 150 del 2022), l’esimente del fatto di lieve entità può essere riconosciuta, in linea generale, per i reati puniti con la pena della reclusione non superiore nel minimo a due anni, salvo specifiche eccezioni; ha altresì osservato che tra queste eccezioni figurano i reati di cui agli articoli 336 e 337 del codice penale, ove commessi nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell’esercizio delle proprie funzioni, per i quali il fatto non può mai essere considerato di lieve entità, pur se, per i reati stessi, è prevista una pena minima non superiore a due anni.
La Corte ha, quindi, ritenuto manifestamente irragionevole che la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto sia esclusa a priori per tali delitti (puniti con la reclusione da sei mesi a cinque anni) e invece ammessa – dopo la menzionata riforma – per il delitto di violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario, punito dall’articolo 338 del codice penale con la pena della reclusione da uno a sette anni.
Questa distonia normativa va a scapito del reo – precisa la Corte –, anche sul piano della funzione rieducativa della pena, la quale esige un assetto razionale dell’intera disciplina sanzionatoria, inclusiva delle cause esimenti.
Roma, 27 novembre 2025
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